DOCUMENTO PER I PROSSIMI PASSI di Mario Adinolfi

I circoli territoriali del Popolo della Famiglia stanno affrontando in questi giorni la fase post-elettorale che si definisce ovunque “analisi del voto”. Si riuniscono, discutono, elaborano. Segno di vitalità dopo il risultato del 26 maggio che è ovviamente insoddisfacente ma lascia comunque in campo un movimento capace di raccogliere un consenso a sei cifre, nelle condizioni di massima oggettiva difficoltà.

Ai 114.531 elettori militanti del Popolo della Famiglia vogliamo comunicare un’idea chiara: il PdF resta in campo per quello che è, soggetto politico autonomo di ispirazione cristiana posto a presidio dei principi essenziali e quindi non negoziabili. Saranno i nostri organismi dirigenti a stabilire il percorso da compiere in futuro e come presidente nazionale voglio contribuire alla riflessione comune con questo mio documento per i prossimi passi.

Invito tutti a compiere prima di tutto un esercizio di analisi della situazione politica che si apre nei prossimi mesi. Ci sono dei modelli che aiutano: curiosamente Matteo Salvini può contare esattamente sulla forza di impatto su cui poté contare Matteo Renzi dopo le europee precedenti: il Pd prese nel 2014 il 40.8%, la sommatoria della Lega con il satellite di Fratelli d’Italia è 40.7% (34.26+6.44). Cosa fece Renzi dopo quel trionfo? Provò ad adeguare il sistema politico alle proprie esigenze, dominandolo. Riuscì addirittura a far votare ai senatori l’abolizione del Senato. Poi intervenne il popolo sovrano e il 40% al referendum del 4 dicembre 2016 non bastò a rimediare la più sonora e definitiva delle sconfitte. Salvini cosa vuole fare del suo 40.7%? Esattamente la stessa cosa, vuole costruire un sistema politico adattato alle sue esigenze. Invece di far votare ai senatori lo scioglimento del Senato fa organizzare al dirigente territorialmente più in vista di Forza Italia lo scioglimento di Forza Italia, fa annunciare al capo del governo lo scioglimento del governo, così a colpi di Giovanni Toti e di Giuseppe Conte il sistema politico va ridislocandosi secondo direzioni tutto sommato non sgradite a Salvini stesso.

Ai circoli del PdF raccomando davvero di partire dall’analisi politica di scenario, senza stare attaccati al sismografo dei sommovimenti quotidiani spesso contraddittori, ma essendo capaci di leggere a grandi linee quel che sta accadendo. Non devo spiegare perché questa analisi sia necessaria: è ovvio che anche il lavoro da compiere da parte del Popolo della Famiglia è diverso se l’orizzonte delle elezioni politiche è piazzato a sei mesi o a tre anni. Quindi, prima di guardarci l’ombelico, guardare quel che accade fuori dalla finestra: non è mai un esercizio inutile.

La mia personale impressione è che lo scenario elettorale sia non immediato ma prossimo. Dunque, per capirci, se dalle politiche alle europee sono trascorsi quattordici mesi, ne trascorreranno molti meno dalle europee alle elezioni politiche anticipate. Molte delle considerazioni contenute in questo documento partono da questa analisi, che come sapete era computa anche prima delle elezioni, quando tutti giuravano che il governo sarebbe durato altri quattro anni perché il contratto, la parola data eccetera eccetera. Si è visto, tutte chiacchiere e parole vuote. Altra lezione: mai credere alle parole dei politici.

Se lo scenario è quello che immagino, con un sostanziale semaforo verde alle elezioni anticipate dato dal Quirinale visto che anche il Pd di Zingaretti ha la necessità immediata di derenzizzare i gruppi parlamentari, allora bisogna cercare di capire quali schieramenti andranno a confrontarsi. Anche capire in anticipo questo è determinante per l’azione futura del PdF, perché è chiaro ed evidente a tutti che se lo schema elettorale fosse centrodestra unito contro Pd contro M5S le elezioni avrebbero un esito scritto per la via della straordinaria preponderanza del centrodestra sugli avversari. E poiché una delle questioni più dibattute internamente ed esternamente al PdF è quella delle nostre “alleanze” vorrei spiegare una volta per tutte che le alleanze si determinano solo in base ad un quadro politico ed ai rapporti di forza. In uno schema come quello citato lo 0.43% del PdF non sposta nulla e dunque le alleanze non sarebbero edificabili perché nessuno ci verrebbe a cercare. Diversa sarebbe la situazione se il nuovo protagonismo di Conte dovesse generare una possible coalizione tra un soggetto politico contiano alleato con Pd e M5S magari con la spruzzata di benevolenza berlusconiana derivata dal fastidio per il tradimento di Giovanni Toti che sarà consumato il 6 luglio al teatro Brancaccio. Stanti i risultati del 26 maggio una aggregazione del genere sarebbe competitiva contro una coalizione Salvini-Meloni ed ecco che i 115.000 voti del Popolo della Famiglia spalmati sui singoli collegi uninominali avrebbero un peso enorme, vorrei dire in molti casi determinante e dunque la costruzione di alleanze diventerebbe un fatto politico reale. Ripeto, non per nostra intenzione, ma per dati oggettivi rintracciabili nel quadro politico. Per questo se la discussione nel PdF fosse oggi dedicata al tema delle alleanze sarebbe una discussione completamente insensata e fuori tempo, perché mancante delle necessarie variabili che possono orientare una decisione.

Il PdF deve invece decidere cosa vuole essere: partito o movimento? La mia idea è chiara, rafforzata dai risultati del 26 maggio. Strutturarci burocraticamente non ha alcun senso, si andrebbe nel senso assolutamente contrario a quello necessario: il Popolo della Famiglia ha bisogno della massima apertura e capacità di inclusione e per raggiungere questo obiettivo ognuno deve essere disposto anche al proprio personale sacrificio. Lo dico a partire da me stesso. Ho detto dopo le elezioni e ripeto ora che il PdF è a disposizione di iniziative che rendano più ampi i confini di un soggetto politico autonomo di ispirazione cristiana. Ripeto qui anche che auspico un intervento diretto di natura ecclesiale, ho parlato di una saldatura tra popolo e pastori, per passare dalle parole ai fatti. In questo documento voglio essere ancora più esplicito, affinché nulla sia lasciato al non detto. Se la Chiesa italiana si svegliasse e capisse quanta necessità c’è di una sua spinta per la costruzione di questo soggetto e il problema fosse la mia personale presenza in tale progetto, io non esiterei un attimo a farmi totalmente da parte. Non può essere però messo da parte il PdF, che ad oggi è l’unico soggetto dell’area ad aver affrontato elezioni politiche ed europee e dunque ha maturato sul campo un know how che sarebbe sciocco disperdere. Se ci fosse una chiamata che mette attorno al tavolo Forum delle associazioni familiari, movimenti ecclesiali (neocat, AC, Sant’Egidio, CL, Opus Dei, Rinnovamento), associazionismo, sindacati, mondo cooperativo e soggetti politici come il nostro per far nascere un soggetto nuovo e autonomo unitario, io la considererei una benedizione e sarei disponibilissimo, se richiesto, a prendere sturzianamente la via dell’esilio. Così come ovviamente sarei a disposizione se mi venisse chiesto di dare una mano in posizione di retroguardia, affidando la leadership magari a persone che si sono fatte belle copiando le nostre idee e affidandole malamente facendosi fregare ai soliti partiti tradizionali che poi non le hanno mai minimamente attuate. Nessun problema e nessun rancore, mi fosse chiesto di portargli l’acqua con le orecchie, gli porterei l’acqua con le orecchie. Perché in questa fase storica la priorità è fare ciò che davvero c’è da fare per produrre l’uscita dei cristiani dall’irrilevanza in politica e il Popolo della Famiglia ha sempre dichiarato di avere questo come obiettivo. Quindi i ruoli personali non contano nulla e chi in questo momento va in cerca di ruoli personali non ha capito nulla. Ora è il tempo di allargare il campo il più possibile pregando Dio di trovare persone più brave di noi che prendano il nostro posto, cedendolo nel caso volentieri. Questo vale, evidentemente, ad ogni livello.

Per far sì e nell’attesa che questo ampliamento di campo si produca, noi del Popolo della Famiglia non resteremo certo con le mani in mano e le considerazioni di scenario che fanno da cappello a questo documento spiegano che abbiamo dovere come movimento di affrontare una discussione approfondita selezionando referenti che siano comunque punti di riferimento capaci territorialmente di tirare le fila dei ragionamenti rendendo più forte la nostra struttura organizzativa intesa come gruppo di militanti attivi sul territorio. Mi convince il proposito di Andrea Brenna, non a caso uno degli eletti nei consigli comunali in questa tornata, di raddoppiare il numero dei militanti attivi nella sua provincia entro il prossimo mese di settembre. Se ogni provincia si desse questo obiettivo sarebbe un ottimo primo risultato raggiunto. Così come trovo esemplare l’approccio di Elisa Rossini, altra eletta pidieffina di questa tornata (la prima in un consiglio di un comune capoluogo, Modena), che è praticamente presente tutti i giorni sui media locali illustrando rispettosamente la posizione del Popolo della Famiglia anche su temi delicati come i Gay Pride. Aumentare la densità della militanza territoriale, intensificare la presenza sui media locali con iniziative, interventi e interviste controcorrente (privi di toni inutilmente ideologici o predicatori), aggiungerei non rinunciare alla campagna di tesseramento al PdF che nel 2019 è stata davvero blanda, sono punti di partenza irrinunciabili.

Serve poi certamente una capacità autocritica. Cosa non è andato il 26 maggio? Alcune difficoltà sono oggettive e strutturali. Salvini in un anno ha guadagnato 17 punti percentuali e quasi 3.5 milioni di voti, producendo un balzo mai visto in nessuna elezione in un così breve lasso di tempo. La Lega ha sventrato Forza Italia, ha tolto due voti su tre a CasaPound, ha ridotto Forza Nuova addirittura allo 0.1%, cioè a niente. Inevitabile che prendesse centomila voti anche a noi, potendo contare sul potere e su una rilevanza mediatica parametrabile nell’ordine del mille a uno. Ogni mille minuti di televisione per Salvini ce n’era uno per noi. Se a questo si aggiunge la comparsa come competitor nella stesa nostra area dei Popolari per l’Italia di Mauro che hanno drenato oltre ottantamila voti, considero quasi un miracolo che in tutto ne abbiamo perso solo centomila, mantenendo la maggioranza di quelli che ci votarono il 4 marzo 2018. Voglio essere del tutto sincero però: se anche avessimo riottenuto tutti i duecentoventimila voti di allora, il risultato sarebbe stato comunque insoddisfacente. Serviva e serve un cambio di passo e di dimensione.

Il cambio di passo e anche di dimensione è di natura politica, non banalmente quantitativa. Quel che non capisce chi parla del Popolo della Famiglia non amandolo è che il PdF non nasce come partito mirante alle poltrone in stile UdC, se lo fossimo stati avremmo venduto il simbolo e incassato il seggio parlamentare offerto nel 2018, come Parisi, come Sgarbi, come Fitto alla Meloni in queste europee. Ma no, il nostro fine non è il potere in sé e la nostra bandiera non è in vendita. Noi, lo abbiamo sempre dichiarato, siamo il contraltare esatto dei radicali di Pannella che esordì alle elezioni politiche del 1976 prendendo lo 0.50% alla Camera e fece le sue ultime politiche nel 2013 prendendo lo 0.19% alla Camera e lo 0.20% al Senato. Nella legislatura del 1976 però ottenne la legge sull’aborto e nella legislatura del 2013 fece bingo con unioni gay, biotestamento e divorzio breve. E oggi siamo appesi a un filo su suicidio assistito e eutanasia per l’azione politica di Marco Cappato. Uno che ha annunciato la candidatura a presidente regione Lombardia e non è riuscito a raccogliere le firme sia nel 2010 che nel 2015, per poi candidarsi a sindaco di Milano nel 2016 e prendere l’1%. Il Popolo della Famiglia è l’antidoto a quel veleno, prende lo 0.66% e lo 0.43% a politiche e europee, ma rappresenta un’avanguardia che in appena tre anni ha imposto nell’agenda politica (e visto copiare da quasi tutti) idee innovative come il reddito di maternità o la lotta alla cannabis anche light e può permettersi di andare in tv in prima serata e dire: “Noi non abbiamo stima della signora Emma Bonino”, lanciando un grido di battaglia contro aborto e cultura della morte. E battaglia sarà oggi, domani e nei prossimi decenni.

Questa battaglia però dobbiamo combatterla essendo ben inseriti nel tessuto sociale e nelle esigenze del territorio. Il modello ideale del PdF, dove il cambio di passo si è verificato sul piano politico e dunque di conseguenza anche sul piano del consenso, è stato attuato da Nicola Di Matteo a Gela: i nostri militanti di questa importante città siciliana (75mila abitanti) sono perfettamente inseriti nel tessuto dei bisogni delle famiglie, provengono dalla società civile e dalle strutture del volontariato, sono benvoluti nelle parrocchie e conosciuti in diocesi, c’è chi ha portato per anni per conto della Caritas diocesana pacchi alimentari a migliaia di padri madri in difficoltà. Ci siamo presentati a Gela alle politiche del 2018 e abbiamo preso il 3.56%. Abbiamo continuato a lavorare e alle amministrative abbiamo fatto vincere il sindaco Lucio Greco contro il candidato leghista prendendo il 5.64%. Due settimane dopo alle europee, grazie al lavoro ulteriore dei nostri due consiglieri comunali eletti e del candidato locale in lista, abbiamo toccato addirittura il livello dell’8.75% dei voti al Popolo della Famiglia. Un risultato che evidentemente viene da lontano, frutto del mix di fattori sopra elencati e dal lavoro costante sul territorio senza arrendevolezze che ha prodotto una progressione significativa da poco più del tre per cento a quasi il nove per cento in una città non facile da 75mila abitanti. Soprattutto tenacia, unità, crescita, lavoro incessante credendoci davvero.

Io non rinuncio all’opzione nove per cento, in analisi che ho pubblicato su La Croce ho già scritto che il livello potenziale di consenso del soggetto politico a cui da anni offro il mio fattivo contributo oscilla tra l’otto e il dieci per cento dei voti. Ma non è che nel frattempo non sappia valutare l’importanza dei segnali importanti di tendenza che comunque arrivano: dall’1% sempre superato quando ci presentiamo alle amministrative in Emilia Romagna grazie al lavoro di Mirko De Carli, allo splendido risultato in termini di preferenze che gli amici campani e i calabresi con Marianna Puzo e Eraldo Rizzuti hanno ottenuto in altri territori per noi tradizionalmente non agevoli. C’è la forza ben espressa dai lombardi e dai veneti, i segnali sempre incoraggianti che arrivano dalla Liguria e dalla Puglia dove più ci siamo radicati, c’è l’esempio sempre straordinario degli amici piemontesi, c’è l’eroicità di friulan-giuliani e sardi, di lucani e marchigiani, di umbri e toscani, abruzzesi e molisani che con gruppi risicati ottengono sempre risultati di tutto rispetto.

Voglio poi fare l’esempio del Trentino Alto Adige dove non abbiamo ormai alcuna presenza strutturata, tanto che sul reddito di maternità da quella regione sono arrivate zero firme. Ebbene, sappiate che in quella regione dove non c’è sostanzialmente nulla 1.363 persone hanno comunque votato Popolo della Famiglia, pari allo 0.27%, praticamente la stessa percentuale che ha ottenuto il PdF che ha il maggior numero di militanti sul territorio e che ha prodotto di gran lunga il record nazionale di firme sul reddito di maternità, che è il PdF Lazio che si è fermato però alle europee allo 0.3%. Cosa significa questo? Due cose: la prima è che abbiamo uno zoccolo duro di elettorato che ci vota anche al di là di qualsiasi nostra presenza organizzativa; la seconda è che non abbiamo ancora capito come si trasforma la sfiancante militanza in voti. Probabilmente il lavoro finale, quello che speravo di aver chiarificato illustrando negli ultimi giorni la necessità di compiere il lavoro di messaggistica personalizzata per chiedere individualmente il voto uno alla volta, non è stato compiuto. Facciamo tutto nella mobilitazione, nelle chat, sui social, nelle nostre iniziative interne, ma quando c’è da andare in campo aperto ci frena la nostra proverbiale aria da bravi ragazzi, la nostra paura di essere invadenti, la nostra timidezza, la nostra buona educazione. Tutte ottime qualità in generale, ma pessimi difetti quando si è militanti politici in particolare in un piccolo partito che non ha risorse economiche né sufficiente attenzione mediatica.

Proprio dal PdF di Roma e del Lazio personalmente ripartirò, assumendomi in quel luogo le responsabilità di una sconfitta che è in tutta evidenza prima di tutto mia, ma cercando proprio insieme agli amici che hanno realizzato il miglior risultato sul reddito di maternità di comprendere come direzionare questo enorme patrimonio che è comunque oggi a noi assegnato e ha anche una rilevanza sul piano ecclesiale. Mai come questa volta la Chiesa è coinvolta e rischia persino di essere travolta da una ostilità di quello che non ho esitato a definire neopaganesimo salviniano, fatto di baci ai rosari e ricorso ad altre simbologie solo estetiche, intese in contrasto con il Papa e con i “cardinaloni”. Noi, non cambiamo questo approccio perché abbiamo perso le elezioni: se la questione riguarda la Chiesa, come sempre noi siamo con il Papa, come il 17 ottobre sul sagrato di San Pietro. Non per questo consideriamo Salvini un nemico, anzi non escludo in futuro un dialogo possibile, ma solo se sarà spazzata via ogni ostilità verso Papa Francesco e la Chiesa. Poi. tra diversi e con rispetto reciproco, si potrà anche parlare. In termini paritetici perché noi non andremo da nessuno con il cappello in mano.

Spero che questo documento possa essere occasione di riflessione interna per tutti i circoli del PdF e mi scuso per le consuete complessità e lunghezze. Venerdì 14 giugno dalle 19.30 a via Veio parteciperò come ho detto personalmente al coordinamento regionale del Lazio, che è aperto anche alle delegazioni provenienti da altre regioni per un confronto preventivo sui temi qui elencati. Tutte le realtà territoriali sono poi invitate a portare il loro contributo elaborato all’assemblea nazionale che si terrà nella prima metà di settembre mentre come sempre ai primi giorni d’autunno l’attività del PdF sarà inaugurata per la prossima stagione con la Festa della Croce che si terrà a Roma in una due giorni che ci permetterà di dormire in un’unica struttura e così di approfondire i temi prima di lanciarci nella stagione congressuale che culminerà a marzo con l’elezione dei vertici visto che scade il quadriennio statutario. In assemblea nazionale, dopo aver completato la mia personale riflessione, comunicherò la mia intenzione di ricandidarmi o meno alla presidenza nazionale del Popolo della Famiglia. Ma questo alla fine è un dettaglio.

La stagione 2019-20 sarà comunque caratterizzata da una intensa attività di formazione dedicata agli iscritti al PdF con l’Università Itinerante della Politica (UIP) che attraverserà il Paese per essere nuovo strumento a disposizione di una battaglia che non sarà meno, ma assolutamente più intensa. Anche a questo fine sarà utile strutturare con un ruolo propositivo più evidente a livello territoriale la presenza del Gruppo Giovani del PdF.

A tutti voi buona discussione nei circoli, nei livelli territoriali, comunali e regionali, in attesa di trovarci tutti assieme all’assemblea nazionale settembrina di Roma. Grazie davvero a ciascuno per quanto ha dato e per quanto darà ad un progetto politico che vive della determinazione dei suoi militanti, senza i quali un’intera area culturale del Paese perderebbe la voce. Per questo, non possiamo che andare avanti, nelle modalità e nelle forme che tutti insieme decideremo.