DISTRIBUTISMO: IL SENSO COMUNE OLTRE CAPITALISMO E SOCIAL-COMUNISMO di Matteo Mazzariol e Mirko De Carli

In un libro del 1912 intitolato “Lo Stato Servile”, Hilaire Belloc, cattolico tutto d’un pezzo, cofondatore del distributismo insieme a G.K.Chesterton ed al padre domenicano Vincent McNabb, profetizzava con incredibile lucidità gli scenari della vita economica, sociale e politica contemporanea.
La sua tesi, che è quella del distributismo, è che capitalismo e social-comunismo, con tutti i loro vari e più o meno edulcorati derivati, siano in sostanza due facce di una stessa medaglia: la tendenza a concentrare proprietà e potere nelle mani di pochi, siano questi pochi l’oligarchia economico-finanziaria nel caso del capitalismo od una cerchia altrettanto ristretta di nomenclatura statalista nel caso del social-comunismo.
Non solo. Nel suo libro del 1912 Belloc indicava anche che tali due ideologie e sistemi di potere, lungi dal combattersi davvero tra di loro, sarebbero prima o poi giunti ad una sorta di alleanza, in cui il Grande Capitalismo, denominato da lui “assistito”, si sarebbe avvalso del supporto del Grande Stato per controllare meglio i cittadini ed imporre in modo pervasivo il proprio potere.
L’anno prima, nel 1911, Belloc aveva scritto un altro libro altrettanto profetico, insieme a Cecil Chesterton, fratello del più famoso G.K.Chesterton, intitolato “Partitocrazia”.
Descrivendo con dovizia di particolari ed in maniera obiettiva il sistema parlamentare partitico inglese di quel tempo, Belloc aveva a chiare lettere sostenuto che tale sistema di rappresentanza costituiva una parodia ipocrita della vera democrazia o governo del popolo, proprio perché attraverso di esso il popolo veniva progressivamente privato di tutti i poteri reali e concreti di incidere direttamente sulla propria vita, come avveniva invece ai tempi delle corporazioni, ma costituiva invece lo strumento privilegiato attraverso cui l’oligarchia economico-finanziaria di allora esercitava agevolmente il suo dominio sull’attività legislativa, attraverso un’efficace quanto subdola opera di lobbying che riguardava tutti gli schieramenti ed in perfetta sintonia con l’opera di “convincimento” svolto dai principali mass-media, rigorosamente posseduti dalla stessa oligarchia finanziaria.
Nel 1917 fu poi lo stesso G.K.Chesterton, nel libro “L’Utopia degli Usurai”, a lanciare alto il grido contro la pervasiva invadenza del denaro e della finanza nel mondo economico-sociale, avviando una serie di riflessioni sul ruolo della moneta e della finanza che furono poi sviluppate in altre opere quali “Il Profilo della Ragionevolezza” (1926) ed in numerosi altri articoli di giornali.

Il fattore comune che aggregava tutti gli autori distributisti citati era molto semplice: uno spassionato amore per la ragionevolezzaed il reale, sulla scia dei grandi pensatori del passato (Aristotele, Cicerone, San Tommaso d’Acquino) e la convinzione che tale ragione umana era stata ulteriormente affinata ed elevata dal Logos che irruppe nella storia 2018 anni fa, dando vita alla Chiesa, una, santa, cattolica ed apostolica.
Come G.K.Chesterton ebbe modo più volte di dire, i distributisti non inventarono nulla, semplicemente applicarono a loro volta il Logos non solo alla vita personale ma alla vita economico-sociale e politica, cercando di scoprire quali siano e debbano essere le costanti universali di un ordinamento civile in grado di garantire alle persone il massimo sviluppo possibile delle loro capacità e talenti naturali, al fine di creare le condizioni per raggiungere il fine ultimo dell’esistenza dell’uomo, cioè la visione beatifica di Dio.
Profondamente radicati nella fede ed ispirati dalle encicliche Rerum Novarum prima (1891) e Quadragesimo Anno dopo (1931), Chesterton, Belloc e padre McNabb ebbero sempre ferma la convinzione che non esiste atto umano neutro rispetto al bene ed al male, che ogni atto umano cioè, tanto più se coinvolge tante persone, è intrinsecamente morale ed è pertanto assurdo e schizofrenico voler separare la morale dalla politica e dall’economia, poiché, sostenevano in netta opposizione a Macchiavelli, la morale non è altro che il percorso necessario da seguire per portare a compimento ed alla massima efficienza l’economia e la politica stessa.
Questo chiaro e netto radicamento filosofico, di fronte al relativismo e nichilismo dilagante, è ciò che rende più che mai attuale il distributismo ed è in grado di porlo come una visione organica, ampia e coesa in grado di opporsi, sulla base dei contenuti, al paradigma oggi dominante del capitalismo alleato con il Grande Stato di marca socialista. In particolare i punti non negoziabili che il distributismo ha approfondito e studiato nel corso dei decenni e che oggi propone a tutti coloro che sono interessati al bene comune sono i seguenti:
– centralità della famiglia tradizionale, anche e soprattutto dal punto di visto economico-sociale
– unione tra capitale e lavoro e massima possibile diffusione della proprietà produttiva, contro le aporie teoriche e pratiche di capitalismo e social-comunismo, quale strada maestra per realizzare equità, equilibrio e quindi prosperità economico-sociale
– restituzione dei poteri reale al corpo sociale, suddiviso organicamente per comparti lavorativi basati sulle competenze reali e messa in soffitta della partitocrazia, quale unica strada per attuare un’effettiva libertà politica e realizzare un’efficiente e funzionale democrazia partecipata.
– eliminazione del denaro-debito bancario e restituzione della proprietà della moneta al momento dell’emissione ai cittadini ed allo Stato, con conseguente superamento dei problemi del debito pubblico e privato, sostanziale azzeramento delle tasse sul lavoro e ristabilimento di una giusta supremazia dell’economia reale sul denaro e la finanza.

E’ chiaro che una tale opera di applicazione ferma e decisa della ragionevolezza all’ambito sociale, il cui fine ultimo è l’attuazione del bene comune, non si può rivolgere solo ai cattolici ma a tutti gli uomini di buona volontà in grado di riconoscere le leggi universali iscritte nel proprio cuore.
Tuttavia è anche vero che solo i cattolici, che sono nel mondo ma non di questo mondo, si trovano nella condizione di resistere al Padrone di Questo Mondo, che, con l’inganno, l’astuzia, la menzogna ed il “non serviam” di atavica memoria, cerca di distogliere chi si occupa di politica dal bene comune. Solo i cattolici sono potenzialmente in grado di respingere le seduzioni del Regno di Mammona e del Denaro, che invogliano a lasciare la strada del bene comune per percorrere quella dell’interesse personale, perché solo i cattolici sono in grado di dare testimonianza di un Regno ben più reale, radicato sull’Essere e non sulle apparenze. Solo i cattolici sono aperti a quella dimensione trascendente che gli consente di superare e vincere, con l’aiuto divino, le tante tentazioni di trasformare questo mondo nell’unico mondo, il potere di questo mondo nell’unico potere.
“Platus amicus est sed magis amica veritas”, dicevano gli antichi. Lo stesso possono ripetere oggi e sempre i cattolici, testimoni della verità con la V maiuscola!
Dobbiamo quindi proporci agli uomini del XXI secolo, affamati di verità, non solo come coloro che portano i valori non negoziabili della vita contro il divorzio, l’aborto, l’eutanasia, la teoria gender e le altre derive del pensiero moderno ma anche come coloro che non scendono a compromessi contro chi persiste ad inquinare la nostra civiltà con le ideologie nefaste del capitalismo e del social-comunismo e con i tanti mali sociali ad esse collegate, tra cui moneta-debito, debito pubblico e privato, tasse esose, sperequazione sociale, inquinamento; come coloro che, riprendendo Giovanni Paolo II, sono in grado di realizzare concretamente una società a misura d’uomo e secondo il piano di Dio, semplicemente perché il nostro obiettivo ultimo è l’adeguamento al Reale e non l’ennesimo esperimento utopico e millenaristico tanto caro all’eresia gnostica.
Nel nome del diritto naturale, va rivendicata quindi la centralità non solo della famiglia, ma anche dell’unione tra capitale e lavoro, delle corporazioni e dei corpi intermedi e di un denaro libero da debito.
Dopo secoli di eclissi della ragionevolezza e del senso comune, questa è la strada che dobbiamo seguire, se vogliano che la società continui ad essere un’aggregazione armonica di uomini liberi e non una massa indifferenziata di schiavi delle proprie passioni, facilmente manipolata e controllata dai signori del denaro. Questa strada si chiama distributismo.